Nessuno è più egoista di un genio compreso

di Roberto Gervaso
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Martedì 9 Ottobre 2018, 14:06
A offrire a Scott una nuova chance fu il cinema, fu Hollywood, il suo smagliante, effimero fulcro di celluloide e carta stagnola, anche con l'avvento del sonoro. Arruolavano abili e fantastici sceneggiatori e brillanti dialoghisti. Non si fece pregare, anche perché quella formidabile occasione gliela offriva la Metro Goldwin Mayer.

Purtroppo non saprà sfruttarla, un po' perché quello di sceneggiatore non era il suo mestiere; un po' perché era sempre ubriaco. E così, dopo sei mesi, si trovò senza lavoro. Avrebbe fatto, forse, la fine di Zelda, che aveva tentato più volte il suicidio, ma incontrò una giovane attrice, Lois Moran, che gli ridarà fiducia e voglia di vivere, distogliendolo da quell'idea fissa, diventata ormai un incubo, ch'era la stesura del romanzo di Zelda Save the waltz.

La depressione della maschiettaera diventata sempre più drammatica, il suo sistema nervoso sempre più vulnerabile. La morte del padre fu un duro colpo per il suo equilibrio già così terribilmente scosso. I famigliari le stavano vicino, avevano per lei ogni premura, ma qualcosa nella Zelda di un tempo si era spezzato. E spezzato per sempre. Alla fine, parenti e amici riuscirono a convincerla ch'era meglio farsi ricoverare in clinica e riaffidarsi ai medici di cui così poco si fidava.

Se non il buonumore ritrovò per qualche tempo la voglia di scrivere e poté così terminare il romanzo, che sottopose alla lettura di un amico e di Scott. Gli chiedeva solo un giudizio, ma quando il marito lo seppe le fece una terribile, ennesima scenata. Volle leggerlo e la sua rabbia fu incontenibile. Si sentì raggirato e defraudato. Stavolta Zelda aveva passato il segno, raccogliendo e utilizzando il suo materiale.

Uno sfogo irrazionale, incomprensibile, ingiusto. Uno sfogo isterico e immotivato. Lei gli replicò per le rime, dicendo che non lo aveva né umiliato né sfruttato. Era tutta farina del suo sacco. Non doveva niente a nessuno. Soprattutto a lui. Scott, che non si aspettava una risposta così perentoria e risentita, cambiò tono. Non solo: tessé le lodi del romanzo, si mise a disposizione di Zelda per eventuali consigli e correzioni. Un'offerta ammantata di paternalismo. Il maestro era lui; lei, l'allieva, docile e paziente.

Il libro era buono, ma Zelda non doveva montarsi la testa. Save me the Waltz uscì, ma il successo fu modesto, anche perché modesta era la veste tipografica e insignificante fu il lancio. Ma ciò che più costernò l'autrice fu il comportamento di Scott, che prima di darle una mano e d'incoraggiarla, l'aveva stroncata e offesa. Quando Zelda lasciò la clinica, tornò per qualche tempo dal marito, ma non fu, né sarebbe potuto essere come prima. Una condizione fra alti e bassi. Lui ce l'aveva col mondo intero, sempre di pessimo umore e non si dava pace che i suoi racconti non fossero più come un tempo, soprattutto, non gli rendessero più come quelli che aveva dato alla stampa dopo i primi tre romanzi.

Il nuovo non era ancora finito e in certi giorni, quando le cose gli andavano storte, scrivere era un supplizio. A farne le spese la povera Zelda, a cui ripeteva: Sei una scrittrice e una ballerina di terz'ordine in confronto a me non è possibile fare un paragone Io sono uno scrittore professionista. Sono l'autore di racconti meglio pagato al mondo.
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