Il cinema riparte dallo streaming​: otto piattaforme a disposizione del primo film riconvertito al web, “Un figlio di nome Erasmus”

Foto dal monitor del set di "Bastardi a mano armata" di Gabriele Albanesi, tra gli ultimi set chiusi a Roma
di Ilaria Ravarino
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Martedì 7 Aprile 2020, 17:01
Strategie antiepidemiche nel piano di produzione, due settimane di isolamento per tutta la troupe, poi il quiz obbligatorio: 25 domande sulla prevenzione a tema Covid, senza possibilità di errore. Solo così, da meno di una decina di giorni, in Cina il cinema ha ricominciato a girare. Set aperti a Ningbo, Shanghai, Qingdao e Xi’an, teatri di posa in funzione, serie e film tornati in lavorazione (tra gli altri anche Impasse di Zhang Yimou, fermo da quasi due mesi), a patto di non superare il limite di 50 persone per location. E se la Cina oggi ci mostra il probabile volto del cinema del futuro, gli Stati Uniti illustrano al resto del mondo cosa accadrà all’industria: contrazione, selezione, digitalizzazione. Si produrrà di meno, i film andranno sempre più spesso sulle piattaforme, e la promozione dei titoli perderà molte voci in bilancio. È la cruda legge della nuova economia, valida per ogni settore: muovere dati è meno romantico, ma più conveniente, che spostare persone.

E in Italia? Dopo aver sperimentato il senso di un’apocalisse irreversibile (“Niente tornerà come prima”), con almeno 40 set bloccati e 70 pellicole finite che attendono di conoscere il loro destino, il cinema comincia a riflettere sul suo futuro. Senza accorgersi che il futuro è già qui. E pure da un pezzo. E così, mentre gli autori si perdono in discussioni di principio sulla sacralità della sala minacciata dalla comodità del salotto, la realtà bussa alla porta dei produttori che nei film di quegli autori hanno investito denaro, presentando il conto: quando le sale riapriranno, in estate o nel primo autunno, non ci sarà spazio, né pubblico, per tutti. E allora? A venire in aiuto dell’industria, permettendo ai film di uscire, ai produttori di incassare, agli autori di raggiungere il pubblico, c’è lo streaming.

E, sorpresa: lo streaming è già pronto alla sfida.
Non una, ma almeno otto piattaforme sono già a disposizione del primo film destinato alle sale e riconvertito per Pasqua al web, la commedia
Un figlio di nome Erasmus di Alberto Ferrari, apripista di una tendenza che non aspettava altro che di essere inaugurata. Con tutti i rischi del caso, ovviamente: «Siamo i primi, non abbiamo riferimenti, non sappiamo quanto incasseremo – dice Roberto Proia, direttore esecutivo della Eagle – ma se andrà bene sono certo che gli altri ci seguiranno». Al di là del lessico minaccioso con cui viene ancora raccontata dagli addetti ai lavori, tra film “mandati in pasto al web”, come se la rete fosse una specie di predatore votato all’estinzione della celluloide, o esposti nella “vetrina dello streaming”, come se il piccolo schermo fosse una bacheca su cui appoggiare la porcellana per non farla impolverare, la distribuzione digitale dei film è il futuro del cinema post Covid. Non di tutto il cinema, ma di molto cinema – quello che in sala soffrirebbe, e che in salotto, forse, potrebbe avere una seconda possibilità.

Così come la tecnologia potrebbe essere lo strumento che permetterà ai piccoli festival di esistere (come accaduto nei giorni scorsi a Cortinametraggio), agli eventi di compiersi in una dimensione più agile, alle cerimonie di perdere quella teatralità novecentesca aprendosi magari a forme meno polverose di messa in scena. Improvvisa e fatale come un asteroide, la pandemia minaccia il pianeta cinema così come l’abbiamo conosciuto per più di un secolo. Ma per salvarsi dall’impatto una soluzione c’è, ed è quella di cambiare coraggiosamente galassia. A restare fermi, la storia lo insegna, si rischia di fare la fine dei dinosauri.



 
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