Coronavirus, Tommasi: «Tornare in campo? Ora è solo un'utopia»

Coronavirus, Tommasi: «Tornare in campo? Ora è solo un'utopia»
di Alessandro Angeloni
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Venerdì 20 Marzo 2020, 07:30
«In un paese dove mancano infermieri, parlare della ripresa delle attività sportive è un lusso», così Damiano Tommasi in un giorno qualsiasi di piena emergenza da coronavirus. Lui, chiuso nella sua Verona, ragiona sul futuro, difficile da disegnare. «Non ci siamo resi conto di ciò che sta avvenendo».
Eppure il calcio programma date, calendari.
«Ti riporta a una dimensione ottimistica, ci vuole realismo».
Questa una sua caratteristica.
«Le racconto questo, molti non lo sanno. Tra le varie attività che svolgo, c’è anche quella di dirigente scolastico. Ebbene, qui a Verona si valuta di portare a termine l’anno solo attraverso una didattica domestica. Questo cosa significa: se un paese chiude le scuole fino a giugno, non possiamo pensare che possano andare avanti altre attività, come lo sport. Un lusso, appunto».
Come lo è stato giocare anche quel 7/8 marzo.
«Un errore. Io ho cercato di farlo capire subito, quando ho chiesto lo stop alla Figc e mi è stato detto di no. Il giorno dopo ci abbiamo provato dalla mattina. La prossima volta il Governo non farà scegliere chi non sa scegliere, quindi se si torna in campo si farà in massima sicurezza».
Che intende?
«Se si potrà viaggiare da una regione all’altra, se non ci saranno rischi».
Ci sarà da rispettare le quarantene. 
«Anche lì, bisogna stare attenti. I giocatori della Pianese sono risultati positivi al termine del periodo di isolamento». 
Si dice: il campionato sforerà a luglio. Come è possibile?
«Ecco, quello sarebbe un bel casino. C’è un’infinità di calciatori che, rispettando le regole, si trovano ad aver firmato per altri club, con decorrenza il primo luglio; ci sono i prestiti, gli svincolati. Il 30 giugno ci sono i bilanci da presentare ed è un problema per i club. Dovrà essere studiato uno scivolo, verrà fatta una moratoria, allungando gli accordi. E non bisogna esagerare con lo slittamento: l’inizio della prossima stagione non potrà assere spostato troppo in là, visto che, almeno quello si spera di farlo, ci sarà l’Europeo». 
Questo già è un successo.
«Certo, ci consente di vedere il termine dei campionati».
L’ipotesi di annullare il campionato esiste?
«Certo. Ripeto: si chiudono le scuole, si può chiudere un campionato o più di uno. Sarebbe un bel problema, ma purtroppo queste cose non le scegliamo noi, ma il coronavirus. Che ormai ci ha caricati tutti sulla stessa barca, nella stessa incertezza e con la stessa fragilità». 
C’è stata divisione sull’interruzione delle partite, prima ancora sulle porte chiuse, ora si parla degli allenamenti, siamo al sì e al no, alle vie di mezzo. Molti presidenti pensano solo agli interessi economici?
«Sono come i musicisti del Titanic, che continuano a suonare mentre la nave affonda. Se non si capisce che la situazione è seria...».
Ed oggi chiedono i soldi ai calciatori. 
«Noi non entriamo nelle trattative. C’è solo da capire chi e come, tra i presidenti, si vorrà approfittare di questa situazione emergenziale. Speriamo solo di trovarsi davanti chi vuole solo ragionare sul sistema migliore per rientrare di certi investimenti e di risollevarsi nella maniera migliore. Tutti abbiamo interesse che l’equilibrio economico venga preservato e proprio per questo dobbiamo valutare tutti gli elementi del momento. E’ necessario verificare quanto sarà lungo lo stop e quanto sarà il danno effettivo».
Il discorso delle ferie, invece.
«La nostra è una proposta di buon senso, è giusto farle ora. La serie C è d’accordo, la A e la B ci hanno detto di no. Forse non si sono resi conto in che paese viviamo. Ma non sono affatto sorpreso».
Tornando alle date: che idea si è fatto? 
«Temo verranno disattese. Nel nord il fenomeno è in continua crescita, così come nel resto d’Europa. Era giusto dare un orizzonte temporaneo, quasi come forma di ottimismo. Ci sta. Ma c’è molto da fare ancora. All’inizio sembrava che il fenomeno riguardasse solo la zona della bassa Lombardia, poi si è trasferito a Brescia e Bergamo, è imprevedibile, non sappiamo cosa succederà nel Sud. La logica ci dice che dobbiamo comportarci bene, con rigore. Non si tratta di essere catastrofisti o ottimisti, cerco solo di essere realista. Ricominceremo, ma in sicurezza. E laddove servirà, rispetteremo misure più severe».
La Uefa ci ha messo un po’ a intervenire.
«Abbiamo provato a sollecitare in tempi non sospetti, si è andati avanti lo stesso, fino a quando i governi hanno deciso. In Spagna si è fermato il basket, da lì anche il calcio. Almeno l’Uefa ha posticipato l’Europeo, è questo libera spazio per i campionati».
Tutta questa storia, alla fine, porterà a un nuovo governo del calcio? Si ripartirà da nuovi e migliori, presupposti?
«Sono molto pessimista. Del resto comandano più o meno gli stessi che c’erano prima del mondiale in Russia. La Lega è cambiata poco, in Figc manca solo Tavecchio. Ma non è questo il momento di lasciarsi andare alle polemiche, adesso conta stare uniti. Poi ne riparleremo».
Lei intanto fa quello che un cittadino dovrebbe fare?
«Certo io sto a casa con la mia famiglia, faccio io tutte le commissioni, l’unico a uscire. Purtroppo abbiamo una figlia ancora a Londra per questioni legate allo studio. Stiamo aspettando che riesca a raggiungerci, ben sapendo che, una volta qui, dovrà stare in isolamento». Come il calcio in questo momento.
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