Lazio, quando Inzaghi fa rima con Chinaglia e diventa icona del "grido di battaglia"

Lazio, quando Inzaghi fa rima con Chinaglia e diventa icona del "grido di battaglia"
di Emiliano Bernardini
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Giovedì 2 Luglio 2020, 07:30
Ci sono immagini che fanno la storia. Gesti che diventano iconici. Personaggi che si trasformano in miti. E così capita che in una calda notte di Torino Simone Inzaghi si trasformi in Giorgio Chinaglia. Oggi è lui il grido di battaglia per i tifosi della Lazio. Un testimone che passa di mano. I fili della storia laziale s’intrecciano e formano la trama di una bandiera che sventola fiera al vento. «Il nostro vanto» gridano con orgoglio i biancocelesti che hanno trovato un nuovo condottiero da seguire. Un totem a cui aggrapparsi. In piedi nello sky box dell’Olimpico Granata con il braccio teso e l’indice a puntare la via da seguire. A indicare il futuro da conquistare. L’immagine vira al bianco e nero. Nella stessa posa c’è Giorgio Chinaglia in una foto diventata il simbolo della storia della Lazio. Uno scatto di Marcello Geppetti datato 31 marzo 1974. Una di quelle foto che ti fanno vedere da bambino e che ti restano dentro. Ecco perché Inzaghi nel replicare, seppur involontariamente, quel gesto ha infiammato i cuori dei laziali. Simone è la pazzia da seguire. Sempre e comunque. C’era in ballo lo scudetto allora e c’è anche oggi. 

SIMBOLI IN CUI CREDERE
L’importanza della simbologia in cui credere. E va bene pure che i due gesti abbiano sostanzialmente significati molto diversi. Inzaghi, costretto in tribuna per la squalifica rimediata contro la Fiorentina, urlava indicazioni alla squadra che stava mettendo alle corde il Torino per rimontare lo svantaggio. Urla che squarciano il silenzio dello stadio. Il grido di battaglia per i suoi che la partita alla fine la ribaltano. Quello di Chinaglia è invece il gesto iconico per eccellenza. Che più di tutti simboleggia, per importanza, la storia della Lazio. Scritta dal giocatore che più di ogni altro è stato amato e con cui generazioni e generazioni di laziali si identificano. L’uomo della riscossa. Il giocatore che ha fatto capire l’importanza di appartenere alla Lazio. D’altronde come diceva lui «di Lazio ci si ammala inguaribilmente». Un gesto talmente forte che un altro laziale, in maniera forse più spocchiosa, lo ha replicato. Paolo Di Canio quel 15 gennaio 1989 lo aveva promesso: «Se segno sotto la Sud gli vado ad esultare sotto con il dito alzato, proprio come ha fatto Chinaglia». Detto fatto. Ma più che immagine iconica, la sua folle corsa è un video che fa esaltare prima della battaglia. Già, eppure c’è tanto in comune tra quei due indici puntati al cielo. Verso un obiettivo che solo chi è visionario può distinguere sulla linea dell’orizzonte. 

RIVOLUZIONARI
Una sfida. Un messaggio sovversivo di due rivoluzionari. Chinaglia indicava la curva della Roma lanciando un grido di ribellione: La Lazio è diventata la padrona della Capitale. Io simbolo di questa squadra lancio il guanto di sfida. E lo faccio in campo e fuori. Un urlo che ha risvegliato le coscienze biancocelesti. Orgogliosi di essere laziali. Inzaghi, invece, indica il sole. La Lazio vive di luce propria. Lì, in fondo alla strada c’è lo scudetto. E come Chinaglia, Simone lancia un grido sovversivo: sfidiamo le potenze del calcio. Noi con una panchina corta. Noi con Patric, Jony e Lukaku. Noi con gli infortuni pesanti. Noi con il cuore possiamo recuperare 4 punti alla Juventus. Lui lo ha già fatto da giocatore. Nel 2000. E’ vero quella Lazio guidata da Eriksson, il maestro che ha superato per numero di vittorie, era economicamente forse più forte della Juve, ma ieri come oggi per riuscirci bisogna andare contro tutto e tutti. Inzaghi punta in alto. Lì dove solo le aquile possono osare. Lì dove il grido diventa eco e fomenta un popolo intero.
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