Perugia, vuol far condannare il marito per violenze e stalking, ma il giudice dà ragione a lui

Il tribunale penale di Perugia
di Egle Priolo
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 08:27

PERUGIA - Ha portato il marito in tribunale. Per vederlo condannare per maltrattamenti in famiglia e pure stalking. Per quelle violenze in casa e poi la persecuzione che le ha cagionato un «perdurante e grave stato d'ansia e di paura» e un «fondato timore» per la sua incolumità. Ma alla fine di un processo con rito abbreviato davanti al giudice Natalia Giubilei, l'uomo – un 39enne di origini nigeriane – è stato assolto per l'insussistenza del fatto. Insomma, niente maltrattamenti e nessuno stalking. La moglie, ora ex, nelle more di una separazione difficile e certamente turbolenta, con la convivenza già finita nel 2020, nel 2022 ha denunciato l'uomo raccontando prima di tutto di quando, nel 2018, l'avesse picchiata causandole la frattura di un dito della mano. Secondo le accuse portate a processo dal pm Tullio Cicoria, il 39enne l'avrebbe presa a pugni, provocandole un «trauma cranico e facciale» che insieme al dito rotto le ha causato «una malattia durata circa 30 giorni».

Passano quattro anni (è il maggio del 2022, i due si sono lasciati da tempo) e l'uomo – secondo la denuncia della ex riportata nella memoria dell'avvocato dell'imputato, Massimo Brazzi - «avrebbe “bussato” violentemente alla sua porta di casa, per poi proferire, urlando, delle minacce al suo indirizzo e alla presenza dei figli minori». Minacce anche di morte, urlate pure solo pochi giorni prima e che hanno convinto la donna a denunciare.
Ma l'avvocato Brazzi è riuscito a convincere il giudice dell'insussistenza delle accuse.

Riportando i presunti «e non meglio precisati episodi di violenza fisica e psicologica» al singolo episodio del dito della mano sinistra rotto. La donna ha raccontato ai medici del pronto soccorso di essersi fatta male cadendo, non dando, quindi, secondo il legale «nessun riscontro estrinseco» alle sue parole. «Il rimando ad un solo episodio specifico di violenza, del quale tra l’altro non vi è certezza processuale – ha spiegato Brazzi -, unitamente a generici cenni “indeterminati” relativi a supposte violenze fisiche e psicologiche subite, non possono costituire una prova sufficiente». Sottolineando come per la configurabilità dei maltrattamenti sia necessario che i fatti denunciati siano «la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale». Insomma, un dito rotto è una lesione e non la prova di maltrattamenti reiterati e continui. Stessa ricostruzione per le accuse di stalking: un episodio di minacce o l'aver bussato una volta alla porta di casa non sono atti persecutori. Con la testimonianza dell'uomo, anzi, che quella «molto violenta» fosse lei e il dubbio dell'avvocato che «la persona offesa, in un clima di tensione familiare, abbia querelato il marito per ritorsione».

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