Papa Francesco ricorda Santo Stefano, primo martire e pensa ai cristiani perseguitati nel mondo. Poi condanna la guerra

La situazione dei cristiani a Gaza era diventata difficile con l'arrivo di Hamas

Papa Francesco ricorda Santo Stefano, primo martire e pensa ai cristiani perseguitati nel mondo. Poi condanna la guerra
di Franca Giansoldati
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Martedì 26 Dicembre 2023, 12:54

«I media ci mostrano che cosa la guerra produce. Abbiamo visto la Siria, vediamo Gaza, pensiamo alla martoriata Ucraina: un deserto di morte. È questo che si vuole?» Anche nel giorno di Santo Stefano, primo martire cristiano, il Papa, affacciato dalla finestra del palazzo apostolico, dedica la riflessione post Angelus, alla situazione internazionale. Il pensiero va subito ai palestinesi di Gaza in particolare. 

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«Nel segno della testimonianza di Santo Stefano, sono vicino alle comunità cristiane che soffrono la discriminazione, e le esorto a perseverare nella carità verso tutti, lottando pacificamente per la giustizia e la libertà religiosa» ha detto Francesco, aggiungendo di seguito: «All'intercessione del primo martire affido anche l'invocazione di pace dei popoli straziati dalla guerra .

I popoli vogliono la pace, preghiamo per la pace, lottiamo per la pace». Alla folla in piazza San Pietro ha poi rivolto l'invito a sostare davanti al presepe. «Osservando le statue, vedrete sui volti e negli atteggiamenti un tratto comune. Lo stupore che si fa adorazione. Lasciamoci colpire dallo stupore davanti alla nascita del Signore. Vi auguro di custodire in voi lo stupore che si fa adorazione».

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La figura del primo martire cristiano, la cui festa liturgica cade proprio oggi, è tradizionale occasione per fare il punto sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo. «Oggi, duemila anni dopo, vediamo che la persecuzione continua: ancora ci sono – e sono tanti – quelli che soffrono e muoiono per testimoniare Gesù, come c’è chi è penalizzato a vari livelli per il fatto di comportarsi in modo coerente con il Vangelo, e chi fatica ogni giorno a rimanere fedele, senza clamore, ai propri buoni doveri, mentre il mondo se ne ride e predica altro. Anche questi fratelli e sorelle possono sembrare dei falliti, ma oggi vediamo che non è così. Adesso come allora, infatti, il seme dei loro sacrifici, che sembra morire, germoglia a porta frutto, perché Dio attraverso di loro continua a operare prodigi a cambiare i cuori e a salvare gli uomini» ha detto Bergoglio. 

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Quanto alla situazione a Gaza – oggi sotto le bombe degli israeliani decisi a sradicare dal territorio la minaccia dell'estremismo islamico di Hamas – vengono in mente le parole impaurite che già diversi anni fa uscivano dalla comunità cristiana presente nella Striscia. In un bellissimo e coraggioso reportage dell'Ansa datato 2015 e dedicato alle condizioni della piccola comunità affioravano già allora i timori per il radicalismo che prendeva corpo e la mancanza di libertà religiosa, al punto che nel giro di pochi anni i cristiani preferivano emigrare altrove. «"Non e' facile essere cristiani a Gaza» lamentava Zuheir Michael, detto Abu Jawadat, esponente della comunita'  e di professione farmacista. Raccontava di come l'atmosfera non fosse gradevole. Hamas non autorizzava già piu' celebrazioni natalizie in spazi pubblici mentre in passato - per Natale - i cristiani della Striscia potevano  festeggiare esternamente al suono di una banda in una delle piazze centrali, dove esponevano un grande albero addobbato. Hamas, invece, aveva progressivamente imposto una atmosfera di controllo. Le chiese di Gaza erano state obbligate a mantenere dunque un aspetto esteriore sobrio, quasi anonimo. 

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Il Patriarcato di Gerusalemme non aveva speso denunce pubbliche sulle restrizioni imposte da Hamas, tuttavia denunciava regolarmente la difficoltà ad ottenere da Israele i permessi per i cristiani che volevano uscire dalla Striscia e partecipare alle celebrazioni natalizie a Betlemme o a Gerusalemme. I permessi (diverse centinaia) venivano spesso negati ai maschi di eta' compresa fra 16 e 35 anni. La motivazione era il timore di attentati. Di conseguenza le famiglie sono costrette a scegliere se separarsi e festeggiare in luoghi diversi, oppure restare riunite a Gaza. 

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