Si impicca in carcere, la famiglia: «Era malato, non doveva stare in cella». Chiesto un milione di risarcimento

Si impicca in carcere, la famiglia: «Era malato, non doveva stare in cella». Chiesto un milione di risarcimento
di Marcello Ianni
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Mercoledì 20 Marzo 2024, 07:26

Certificati medici rimasti, a quanto pare, lettera morta; continue preoccupazioni espresse dai genitori, che solo in extremis erano riusciti a trovare una struttura detentiva diversa dal carcere. Tutto questo non è riuscito ad evitare la volontà suicidaria del figlio, un 37enne detenuto. Una vicenda che ha avuto un’inevitabile coda giudiziaria: è stata trattenuta in decisione l’udienza civile che si è tenuta a gennaio di quest’anno dinanzi al Tribunale, (giudice Maura Manzi), la causa di risarcimento danni per un milione di euro, proposta dai familiari di un 37enne aquilano, morto suicida il 23 aprile del 2018 nella Casa Circondariale di Chieti, luogo nel quale il giovane era recluso dal settembre del 2017.

Nell’atto di citazione, gli avvocati Maria Teresa Di Rocco e Silvia Catalucci, entrambi del Foro dell’Aquila, hanno ripercorso punto per punto non solo il dramma del giovane recluso, ma anche quello dei suoi genitori che avevano esortato le autorità competenti (Ministero di Giustizia, e Asl2, Lanciano, Vasto Chieti) a prendere in considerazione il grave stato di salute del giovane, soggetto fragile psicologicamente ed emotivamente con un passato di tossicodipendenza importante. Certificati e relazioni di medici anche del Sert dell’Aquila che di fatto sottolineavano una instabilità emotiva e carenza di controllo della impulsività che a giudizio dei legali (ai quali si sono rivolti i famigliari del detenuto suicida) avrebbero imposto un’attenta sorveglianza (come evidenziato anche dal medico di turno del carcere di Chieti), visti i ripetuti ricoveri psichiatrici, del ragazzo, di buona famiglia e con una istruzione superiore alla media della popolazione carceraria.

Uno di stato di salute non buono quello del 37enne verificato dai genitori nel corso dei continui colloqui i quali non ne avevano fatto mistero ad alcuni operatori del Sert di Chieti i quali a quelle richieste di aiuto avrebbero risposto: «Il carcere non sta dietro l’angolo». 

Dinanzi al peggioramento del giovane i genitori erano riusciti ad individuare una struttura residenziale idonea che aveva dichiarato la propria disponibilità a partire dal maggio 2018, data risultata troppo in là rispetto alla volontà suicidaria del ragazzo dell’Aquila che si è impiccato nel bagno della cella con una cintura, lasciata secondo i due avvocati del Foro dell’Aquila del tutto incautamente nella sua disponibilità. Era stato un compagno di cella del 37enne a trovarlo: uscito dal bagno, l’uomo aveva urlato per attirare l’attenzione di altri detenuti che avevano tentato di liberare il collo del ragazzo. Gli stessi compagni di cella a braccio erano riusciti a portarlo nell’infermeria, ma ogni tentato di rianimarlo era risultato vano. Di qui la messa in mora ai fini risarcitori al Ministero della Giustizia, Direzione generale dei detenuti e del trattamento e alla stessa Asl 2.

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