Meriam: ho partorito in catene, forse mia figlia non camminerà

Meriam Yehya Ibrahim
di Anna Guaita
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Giovedì 3 Luglio 2014, 14:50 - Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 19:43

NEW YORK Nascosta con il marito e i due bambini in un luogo segreto a Kartoum, Meriam Yehya Ibrahim ha raccontato alla Cnn le ore terrificanti del suo parto: Avevo le gambe incatenate a terra.


Non potevo aprirle. E ora i medici pensano che la mia bambina, Maya, sia rimasta menomata. E non sappiamo se sarà in grado di camminare». La vicenda della 27enne sudanese cristiana, condannata dalla legge islamica del suo Paese come “apostata e adultera”, non si è risolta, come si sperava, quando la sua condanna è stata cancellata dalla Corte di Cassazione del suo Paese la scorsa settimana: la donna, con il marito Daniel Wani, e i due bambini, sono stati fermati mentre tentavano di ripartire alla volta degli Stati Uniti, di cui il marito è cittadino. Le autorità sostengono che la donna ha mentito nei documenti di viaggio. Lei ribatte che le carte non possono essere false: «Sono state emesse da un’ambasciata ed erano state approvate dagli ambasciatori del Sud Sudan e degli Stati Uniti».

«VOGLIO TORNARE A CASA»

A ogni buon conto, la famiglia ha trovato rifugio in un luogo segreto, e da qui lei ha concesso un’intervista telefonica alla Cnn: «Il mio solo desiderio è di poter ripartire, di tornare a casa con i miei due bambini e mio marito» ha detto Meriam, il cui marito è costretto su una sedia a rotelle dalla distrofia muscolare e dipende da lei in ogni atto della vita quotidiana. La vicenda di Meriam ha mobilitato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. La donna è di fede cristiana ortodossa perché è stata cresciuta da sua madre, una etiope di fede cristiana. È stato il suo stesso fratello a denunciarla perché sposata a un cristiano. Il padre di Meriam era infatti di fede islamica, e quindi, secondo la Sharia - la legge islamica adottata nel Sudan dal 1989 - anche lei doveva esserlo. Meriam è stata condannata all'impiccagione sia come cristiana sia come adultera: siccome la fede cristiana non viene riconosciuta, neanche suo matrimonio è stato riconosciuto.

NEL CARCERE

Meriam è rimasta in prigione dal 20 aprile, con a fianco il suo bambino di un anno e mezzo, Martin. La pancia le è cresciuta, le gambe le si sono gonfiate, ha sofferto di dolori, nausea, mal di testa, e a un certo punto hanno preso l’influenza sia lei che il piccolo Martin. Il marito aveva già raccontato che dopo il parto avvenuto il 27 maggio Meriam era stata tenuta immersa nel sangue del travaglio per oltre due giorni. E solo quando una delegazione umanitaria ha avuto il permesso di visitarla, le è stato concesso di lavarsi. Nel frattempo - secondo quanto Meriam ha detto ieri alla Cnn - ha dovuto sorbirsi accuse dalle guardie, cattiverie dalle altre prigioniere e visite quotidiane di sacerdoti islamici che la istigavano all'abiura. Lei non ha fatto marcia indietro: «Sono cristiana» ha detto e ripetuto.

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