Il ministro Costa si dimette: «Cittadinanza, non voterò la fiducia. Adesso ricostruire il centrodestra»

Il ministro Costa si dimette: «Cittadinanza, non voterò la fiducia. Adesso ricostruire il centrodestra»
di Sara Menafra
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Giovedì 20 Luglio 2017, 00:11 - Ultimo aggiornamento: 18:16

ROMA Ministro, o meglio, ex ministro Enrico Costa, come si sente? Com’è lasciare la poltrona di titolare di un dicastero importante e tornare al tran tran di Montecitorio?
«Ovvio che non è una decisione che ho preso a cuor leggero, però onestamente non credo che potessi continuare a tenere il piede in due staffe. Voglio chiarezza sul futuro di Ap, ho sviluppato una convinzione su quale debba essere il nostro percorso e preferisco rinunciare ad una posizione di prestigio. Non mi interessano i galloni o i ruoli, mi interessa la visione politica e dunque il mio percorso riparte da deputato semplice». 

Si dice che abbia accolto l’appello di Berlusconi. Ci sono stati contatti con l’ex cavaliere in questi giorni?
«Con Berlusconi ci sentiamo spesso. Al di là delle divisioni politiche è rimasto un rapporto umano e di rispetto. Dunque, è capitato e capita che ci sentiamo e abbiamo parlato anche dei recenti sviluppi. Ma in questa vicenda non c’è nulla di segreto. Berlusconi ha detto chiaramente quello che pensa, io ho apprezzato la sua apertura ed è nato un dialogo politico».

Il leader di Ap è Angelino Alfano, però. Come ha preso questa mossa? 
«Abbiamo concordato che le mie decisioni erano una scelta ormai inevitabile».

Continuerà a votare la fiducia?
«Di certo non voterò mai la fiducia sullo ius soli». 

E’ una candidatura a leader dell’area centrista? Un addio ad Ap per un nuovo progetto?
«Farò il deputato semplice. Non sono leader di nulla, penso solo di poter dare un contributo, insieme a tante persone che credono in un progetto comune».

Ovvero?
«Il centro non può restare chiuso in una solitaria autocelebrazione. Ha una prospettiva solo se contribuisce ad un’idea più ampia. La sua vocazione naturale, anche per la storia della cultura liberale del nostro paese, è che confluisca in un progetto di costruzione del centrodestra». 

Perché proprio ora? Il centrodestra fino a qualche anno fa esisteva, poi si è rotto, perché rifarlo ora?
«Dobbiamo prendere atto che c’è stata una vera apertura di merito, senza più distinguo ad esempio su come ci si è schierati al referendum. E’ una reale volontà di inclusione che a mio avviso va ascoltata, anche perché non mi perdonerei che nel 2018 si perdesse di nuovo per 25mila voti, come è accaduto nel 2013. Lo dico a me stesso e a tutti gli interlocutori interessati a questo percorso». 

Dunque indietro non si torna. Verso il centrodestra?
«Lo ripeto, la storia liberale trova nel centrodestra la sua naturale collocazione. Dopo il 2013 c’è stata una naturale diaspora ma ora è necessario ricostruire un progetto unitario».

Cosa non ha funzionato o ha smesso di funzionare nel rapporto con il Pd?
«All’inizio c’era effettivamente una volontà di dialogo, di non fermarsi ai veti. Ultimamente, invece, è prevalsa la volontà di mettere bandiere e bruciare i tempi. Il caso dello ius soli è emblematico. Lo stesso potrei dire per la riforma del processo penale, ma non ha senso fare l’elenco dei singoli provvedimenti, non potevo continuare a dire signor sì ogni volta».

Che rapporto ha con Gentiloni e Renzi?
«Di dialogo, hanno accettato le mie posizioni anche quando erano divergenti dalle loro».

Quando bisogna andare a votare, a questo punto?
«A scadenza naturale, non ha senso accelerare in questo momento». 

Con questa legge elettorale?
«L’importante è costruire un sistema omogeneo tra Camera e Senato». 
 

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