Tre ex presidenti della Camera, Fausto Bertinotti, Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, alle prese con la riforma costituzionale del governo, e gli ultimi due diventano i mattatori del convegno, tutt’altro che professorale, molto animato e perfino divertente, organizzato sul premierato alla Camera dall’associazione degli ex parlamentari presieduta da Peppino Gargani. Molti democristiani d’antan (Sanza, Tabacci, Mannino, Maria Pia Garavaglia), i dem Zanda, Finocchiaro e Ceccanti, Quagliariello e i costituzionalisti (da Enzo Cheli a Cesare Mirabelli, critici verso la riforma) ma senza il costituzionalista ideatore del progetto meloniano. «Parola a Francesco Saverio Marini», dice la presentatrice ed ex onorevole Cinzia Dato: «Ah, non c’è? O è in sala e non sta sentendo? No, è proprio assente e questa assenza ci preoccupa molto». Era stato invitato ma deve aver disertato prevedendo l’alto tasso di critiche. E mancano anche Marcello Pera e Luciano Violante. La linea Casini diventa la più pop in questa sala strapiena anche di scolaresche (e a proposito di ex presidenti di Palazzo Madama, sul palco c’è anche Carlo Scognamiglio).
Casini ricorda Arnaldo Forlani: «Non ha mai dimenticato la sua città natale»
Dice Casini: «Non è un colpo di Stato dire “facciamo una Repubblica presidenziale”.
Fini non aveva mai parlato prima di questo argomento. E il suo discorso - «Resto un sostenitore del semi-presidenzialismo alla francese» - non era, anche se così poteva sembrare all’inizio, un appoggio al governo. Le carezze: «Niente di sbagliato nel voler creare una nuova Repubblica», «non mi riconosco in chi dice no in maniera aprioristica». E soprattutto: «Non sono d’accordo con chi dice che la riforma limita in modo intollerabile i poteri del Capo dello Stato». E ancora: «Con il premio di maggioranza del 55% si impediscono voti popolari non chiari. Non giudico necessariamente negativi i governi tecnici, ma tra i cittadini è diffusa la sensazione che il voto popolare ormai conta poco». Poi, le frecciate: «Mi chiedo perché, non potendo guardare al presidenzialismo alla francese, visto che Lega e Fi non hanno voluto, Meloni non abbia dato un’occhiata a Berlino». Non il premierato ma il cancellierato alla tedesca. «Anche perché quello su cui la sinistra era pronta al dialogo evitando il referendum e il referendum si può perdere».
BOTTA E RISPOSTA
Per Fini la riforma produrrebbe «un cortocircuito»: «Meloni elimini le liste bloccate: è assurdo che l’elettore non può scegliere il parlamentare ma può scegliere il premier». Va anche tolta «la bizzarria del secondo premier che conta più del primo». Altro giro di tavolo, fino a un botta e risposta Casini-Fini. «Sono sorpreso - attacca Casini parlando del governo Monti - dalla tua posizione. Tu hai verificato come quella capacità di moral suasion del Capo dello Stato in una situazione di emergenza, col tuo voto e col mio, abbia aiutato a trovare una soluzione. Insomma i poteri a fisarmonica del Colle sono funzionali a momenti di emergenza». «Non sono così sgarbato da dire che non hai capito, mi sono spiegato male io - replica Fini - e dico che con le regole attuali quello che abbiamo fatto era doveroso ai sensi della Costituzione». Il convegno si conclude ma, da amici, Fini e Casini continuano a discutere mentre vanno via e a sperare, all’unisono, che qualcosa o molto cambi nella riforma in cottura.