Il maestro Muti a Roma dirige un concerto per l'80esimo anniversario delle Fosse Ardeatine: «La musica può aiutare a elevare gli spiriti»

Muti dirige il 24 marzo al Parco della Musica di Roma la sinfonia n. 9 Le Fosse Ardeatine per l'80esimo anniversario dell'eccidio: in un periodo storico così difficile la musica può essere veicolo di armonia, di bellezza e di pace. L'orchestra Cherubini affiancata dalla banda dei Carabinieri

Il maestro Riccardo Muti al Parco della Musica per l'anniversario delle Fosse Ardeatine
di simona antonucci
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Lunedì 25 Marzo 2024, 00:36

È un brano pervaso «da un forte senso di terrore e di paura», quello che il maestro Muti ha scelto di eseguire a Roma per l’ottantesimo anniversario delle Fosse Ardeatine. «Un inizio pianissimo e freddo che poco alla volta diventa tormento, con gli strumenti a fiato protagonisti di un dialogo di violenza e di frastuono. Momenti apocalittici. E sul finire, una campana sinistra che entra creando il gelo. È la campana della morte».

Riccardo Muti torna «nella città dove furono uccise 335 persone», il 24 marzo, alle 21, nella Sala Santa Cecilia del Parco della Musica, per eseguire la Sinfonia n. 9 di William Schuman, intitolata “Le Fosse Ardeatine”, «e per tenere in vita un capitolo doloroso della nostra storia. In un periodo storico così difficile, di guerre e di tragedie, di uccisioni e di fame, la musica può aiutare a elevare gli spiriti e a produrre propositi positivi che possono migliorare la società».

Promosso dalla Fondazione Orchestra Cherubini con il patrocinio del Ministero della Cultura, del Comune e della Comunità Ebraica di Roma e il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’evento (a ingresso gratuito, organizzato con l’Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri, l’Accademia di Santa Cecilia e il Ravenna Festival) vedrà Muti sul podio dell’Orchestra Cherubini «giovani che rappresentano il futuro del nostro Paese», alla quale si uniranno strumentisti («tutti bravissimi») della Banda dei Carabinieri. Le vittime dell’eccidio perpetrato dai nazisti il 24 marzo del 1944, a Roma, saranno ricordate con l’Incompiuta di Schubert, accanto alla prima italiana della Sinfonia del compositore americano, nato in una famiglia ebrea di Manhattan (1910-1992) e premio Pulitzer per la musica nel ‘43, che presentò così il suo lavoro: “Qualunque futuro possa avere la mia sinfonia, ogni volta che verrà eseguita, il pubblico ricorderà”.

Come ha conosciuto questa partitura?

«La ricevetti a Chicago da un giornalista della radio della città che pensava mi potesse interessare non solo come musicista, ma anche come cittadino di un Paese che aveva vissuto questa tragedia. E rimasi colpito che un importante artista, Premio Pulitzer, figura rappresentativa della Juilliard School di New York e della storia della composizione e dell’interpretazione degli anni 40/50, scelse di dargli il titolo in italiano, utilizzando le nostre parole. Volli subito eseguirla a Chicago. E ora a Roma, teatro della tragedia».

Che cosa evoca la sua musica?

«Schuman venne nella Capitale subito dopo la guerra, fine anni Sessanta. Volle conoscere la città, visitare i monumenti e conoscerne la storia. E rimase molto colpito dall’eccidio delle Fosse Ardeatine. Ed è così che tornando negli Stati Uniti decise di trasformare le sue sensazioni in musica, in una sinfonia, che dal punto di vista tecnico è estremamente difficile e dal punto di vista espressivo fortemente emotiva. Vorrei ricordare che la musica non descrive ma evoca, non è pittura».

I giovani della Cherubini sono affiancati dai musicisti della banda dei Carabinieri. Come mai?

«Il mio omaggio all’Arma dei Carabinieri. Anche se la parola Arma evoca “arma da fuoco”. Io preferirei dire “il Corpo dei Carabinieri” che fa parte della nostra storia gloriosa, un simbolo dell’Italia. I carabinieri li ho voluto perché Hitler mandò 2000 di loro al macello, al campo di concentramento. E alle Fosse Ardeatine, dove furono presi bambini, preti, ebrei cristiani, atei, tutti, c’erano e anche dei carabinieri, tra i quali il ravennate Giovanni Frignani, tenente colonnello che arrestò Mussolini.

Il mio è un riconoscimento, un ricordo doveroso».

Lei dedica molta attenzione alle bande. Che cosa rappresentano per lei?

«È dalle bande di Molfetta, seguendo le processioni, che ho sentito i primi suoni. Le bande vanno sorrette perché hanno portato la musica nel Paese quando le radio non esistevano, e continuano a farlo oggi, raggiungendo luoghi che non hanno teatri e persone che non frequentano concerti. E inoltre, le bande contengono molti strumenti che in orchestra non esistono più. Preservano dalla sparizione flicorni, trombe, ottoni, strumenti del ‘700 e 800».

E rimasto legato ai riti della sua infanzia?

«Subito dopo il concerto a Roma, andrò in Puglia perché voglio rivedere le processioni del venerdì e del sabato santo. Mio padre faceva parte della Confraternita di Santo Stefano che portava a spalla il Cristo morto. Non posso non tornare, mi riporta indietro nel tempo. Ed è proprio grazie a una processione in Puglia, da piccolissimo, che ho scoperto la Maria funebre di Beethoven e lo Stabat Mater di Rossini».

Lei che è un musicista mondiale ha sempre avuto a cuore il rispetto di un’Italia meno conosciuta, come Maiolati, patria di Spontini che ha appena omaggiato. Secondo lei, la memoria del Paese viene trascurata?

«Il cuore dell’Italia è proprio in questi piccoli centri che storicamente sono molto importanti. A Jesi sono nati Pergolesi e Federico II e a Maiolati, Spontini. L’Italia non è solo quella delle grandi città, l’Italia da scoprire e da tutelare è questa. Conobbi, tanti anni fa il grande pianista Svjatoslav Richter. Lui era un gigante io all’inizio. Ripeteva sempre una frase: “Ogni cittadino del mondo ha due patrie la sua e l’Italia”. A una cena, dopo un concerto, interrogandoci tra colleghi, molti stranieri, su quale fosse la città italiana più bella, lui rispose Norcia. E non Roma, Napoli, Firenze, Venezia... Perché, disse, si respira un’aria di serenità».

Il concerto romano rende omaggio alle vittime di una tragedia. Con quale stato d’animo affronta i drammi di oggi?

«Siamo in un mondo che sembra aver perso la ragione. È in fiamme. Anche Paesi che non lo sono, lo sono, perché dipendono dalla follia, o dalla saggezza, dei Paesi dominanti. Rimbomba la minaccia della bomba atomica, come se già la parola bomba non fosse sufficiente e evocare orrore. L’atomica dovrebbe far rabbrividire, significa distruzione del pianeta. Al momento attuale siamo in attesa, nella speranza che tutto si risolva. Io, il 7 maggio dirigerò a Vienna la Nona di Beethoven per l’anniversario dei 200 anni dalla prima esecuzione, proprio a Vienna. La Nona finisce con l’Inno alla Gioia di Schiller in cui si dice che siamo tutti fratelli. È stata scritta due secoli fa e la celebriamo oggi in un mondo che parla di guerra. Con i bambini che soffrono di malattie e di fame. Mentre noi parliamo e suoniamo migliaia di piccoli muoiono. Pascoli definiva la Terra “atomo opaco del Male”. Che oggi fiammeggia di terrore. E le Fosse Ardeatine di 80 anni fa in questi giorni sono ovunque».

Con il progetto le Vie dell’Amicizia lei ha suonato in Paesi non amici tra di loro. Continuerà?

«Ho portato la musica in Paesi che non erano in pace o in simpatia tra di loro, come l’Armenia e la Turchia, ma attraverso la musica si è creato un ponte, hanno suonato lo stesso repertorio dimostrando che la musica è al di sopra e può essere veicolo di armonia, di bellezza e di pace. La musica aiuta, ma purtroppo non si fa abbastanza per coltivare la parte spirituale di un popolo». 

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