Dal programmatore all'esperto di "realtà aumentata", le nuove professioni del Web

Dal programmatore all'esperto di "realtà aumentata", le nuove professioni del Web
di Alessio Caprodossi
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- Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 13:19
Internet ha cambiato il mondo, non solo quello in cui viviamo ma anche quello del lavoro. A cavallo degli anni Duemila ha generato la nascita, spontanea quanto necessaria, di figure inedite (a livello popolare) come il programmatore, lo specialista del marketing online oppure il web e graphic designer. Nell’ultimo lustro, invece, sulla ribalta sono arrivati data scientist, reputation manager, sviluppatori di applicazioni mobili, online-store manager, esperti di realtà aumentata e altri ruoli basati sulla specializzazione. 
A unire i due filoni è il livello di occupazione, con l’offerta sempre molto più abbondante dell’effettiva disponibilità. Non a caso, professori e cultori del settore provano a convincere i giovani che questo sia uno dei percorsi da seguire, poiché si traduce in un posto di lavoro – a spiegarne i motivi basta l’indicazione dell’Unione Europea che stima in 900mila i posti di lavoro collegati al digitale da coprire entro il 2020. Con il continuo moltiplicarsi dei dati disponibili in rete, per esempio, il bisogno di una persona capace di selezionare, analizzare e interpretare la mole di informazioni diventa vitale. Specie all’interno delle aziende, costrette a decriptare montagne di dati (destinati peraltro ad incrementare con la diffusione dei sensori per l’internet delle cose), per trarre quei vantaggi che garantiscano maggiore produttività. Alcuni li definiscono i nuovi guru del web, per altri sono invece simili ai vecchi consulenti in grado, però, di miscelare diverse abilità per destreggiarsi in più campi. Di certo c’è che sono elementi cruciali per la crescita aziendale, perché forniscono informazioni suggerendo predizioni (servendosi di algoritmi che illustrano previsioni derivate dall’andamento del mercato e dai gusti del pubblico) utili ai manager per disegnare strategie e assumere decisioni.

DATA SCIENTIST
In cima alla lista delle richieste c’è il data scientist, colui che vive di dati, analisi e letture. La differenza col passato è che oggi la statistica è solo una delle varie qualità di uno scienziato dei dati, che oltre a gestire, organizzare e individuare i concetti da estrarre dal mare magnum digitale, deve esser in grado di comunicarli, poiché i suoi interlocutori sono i manager ai quali, con le dovute sfumature, è equiparato sia come grado, sia come compenso. Possedere un profilo da ricercatore non è perciò sufficiente, così come contare su un percorso economico, oppure una carriera da informatico, perché il data scientist è un battitore libero che si muove tra i vari livelli aziendali. Se Usa e Regno Unito hanno anticipato i tempi, in Italia il livello degli occupati in tale posizione è salito del 15% solo nell’ultimo anno. Merito dei tanti master e corsi post universitari dedicati al tema, che sono sempre più supportati dalle aziende, interessate a formare quei talenti che poi varcheranno le loro porte: Oracle ha scelto la Luiss di Roma, Generali l’Università di Pisa, Vodafone e IBM l’Università di Bologna. Dalla scorsa settimana si è aggiunta l’Università di Tor Vergata (Roma), che ha attivato un Master biennale di II livello “Big data in business: discovering & leveraging for value creation”, dove a differenza degli altri casi ai 25 studenti selezionati non viene richiesto un euro poiché sono Telecom ed Ericsson a sostenere gli oneri. «Si tratta di un investimento necessario davanti alla trasformazione digitale in atto che richiede nuove professionalità in grado di utilizzare i dati generati per migliorare processi e servizi», spiega Nunzio Mirtillo, a.d. Ericsson Italia. Per gli studenti, poi, è una doppia vittoria, perché oltre alla formazione gratuita ad attenderli ci sono pure stage nelle due aziende, primo passo verso una futura assunzione. «Il mondo dei big data è ormai una realtà con una specializzazione che si muove ai confini di diverse discipline. Le imprese ne hanno grande bisogno e i ragazzi che usciranno dal master saranno al 100% impiegati», spiega Marco Patuano, a.d. Tim Italia che a proposito del finanziamento agli studenti evidenzia che «se da noi è la prima volta, negli Usa è la normalità e l’esempio migliore sono le centinaia di milioni di dollari investiti da Google per formare i suoi data scientist». 

REPUTAZIONE E COMMUNITY
Col mondo degli affari che si sposta sempre più verso il mondo virtuale le aziende sono impegnate anche nel difendere la propria credibilità. Dinanzi a dinamiche come quelle generate dai social (sconosciute ai vecchi manager), nasce l’esigenza di contare sui Reputation Manager, coloro che curano la reputazione di un brand monitorando ciò che viene postato in rete. Ideato nel corso delle campagne elettorali Usa, è un ruolo ricoperto da professionisti abili a rintracciare le malelingue e a intervenire con tempi e modi giusti – eleganti, decisi e talvolta ironici ma mai offensivi o volgari – per frenare la diffusione di cattive notizie. Sempre online ma in maniera più circoscritta si muove il Community Manager, il rappresentante di una comunità (aziendale, associazione, onlus e simili) che crea contenuti per accrescere i fan spaziando tra blog, network professionali e gruppi interni oltre che sugli immancabili social network. 
 
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