Andrea Purgatori, il neuroradiologo che ha smentito la prima diagnosi: «Sarebbe stata necessaria un’altra terapia»

Il professore Alessandro Bozzao: «Esami da interpretare diversamente, ma non posso dire che l'esito sarebbe stato diverso»

Andrea Purgatori, il neuroradiologo che ha smentito la prima diagnosi: «Sarebbe stata necessaria un’altra terapia»
di Graziella Melina
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Sabato 22 Luglio 2023, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 13:10

Nella ricostruzione del percorso assistenziale del giornalista Andrea Purgatori, deceduto pochi giorni fa, c’è un susseguirsi di esami, consulti e visite mediche difficili da far combaciare. Dopo il ricovero a Villa Margherita, e poi gli approfondimenti alla casa di cura Pio XI sull’Aurelia, la diagnosi sembrava essere implacabile: tumore al polmone con metastasi diffuse agli organi vicini e al cervello. Ma iniziata la radioterapia ad alto dosaggio la situazione peggiora. Nuova tac, dunque, e stavolta con una diagnosi diversa: le metastasi non ci sono, sostiene Alessandro Bozzao, professore di Neuroradiologia dell’Università La Sapienza e responsabile dell’Unità operativa di Neuroradiologia del Sant’Andrea. 

Perché diagnosi così diverse? 
«In genere la diagnosi è piuttosto facile, però ci sono casi, come questo, in cui può essere difficile». 

Le metastasi non sono evidenti con gli esami? 
«Certo, ma potrebbero confondersi con qualcos’altro». 

Qual è il procedimento corretto per individuarle? 
«È una questione di esperienza e di professionalità.

Gli esami che ha fatto il paziente sono stati corretti, è l’interpretazione che può essere variabile. Ripeto, dipende dall’esperienza di chi legge l’immagine. Questa è la mia posizione». 

 

Ma la strumentazione di alto livello non basta? 
«Gli ausili da utilizzare sono quelli tecnici e in questa specifica vicenda erano quelli corretti da entrambe le parti. Gli esami sono stati fatti in maniera corretta, ma sono stati interpretati in maniera diversa. Da un punto di vista tecnico è stato fatto tutto quello che si doveva fare». 

Non ci si può fidare più nemmeno delle tac? 
«I medici danno una interpretazione. Esiste una interpretazione di immagine, di sintomatologia clinica che porta a conseguenze diverse e come in tutte le cose in medicina sono legate ovviamente, oltre al dato tecnico di una acquisizione, ad una interpretazione. E l’interpretazione può fare la differenza: una certa interpretazione porta ad una diagnosi, un’altra ad un’altra. Ed è quello che è successo in questo caso. Non è una questione di malafede o ignoranza, è stata un’interpretazione di casi complessi che hanno portato a conseguenze terapeutiche diverse, che dal mio modo di vedere non hanno inciso sulla prognosi». 

La diversa interpretazione pesa sulla scelta delle cure? 
«La situazione in questo caso è molto complessa e molto specialistica. L’interpretazione diversa da parte di chi ha eseguito gli esami ha portato a conseguenze terapeutiche diverse rispetto a quelle che avrei scelto io. Io ho le mie opinioni, chi ha letto le altre risonanze ne ha un’altra, e di conseguenza sono state fatte terapie mirate». 

Quanto incide sull’esito? 
«Incide molto». 

Sta dicendo che forse poteva andare diversamente? 
«Quello che è stato fatto in termini terapeutici non credo abbia influito sulla prognosi del paziente, in tutta onestà. Però può darsi». 

E sull’aspettativa di vita? 
«Non credo, neanche. Poi questo ci sarà chi lo accerterà».

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