Riccardo Muti torna a Roma: «Farò poche opere, detesto certe regie: oggi i direttori sembrano clown»

Serata attesissima quella del 29 all'Opera di Roma, dove il maestro torna dopo quasi dieci anni, in chiusura della tournée europea con la Chicago Symphony Orchestra. Un concerto evento in occasione dei cento anni della Banca del Fucino

Il maestro Riccardo Muti con la Chicago Symphony Orchestra (foto Todd Rosenberg)
di Simona Antonucci
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Sabato 27 Gennaio 2024, 06:26 - Ultimo aggiornamento: 16:01

«Il cammino dell’interpretazione musicale si svolge insieme con la vita che passa e che porta gioie, dolori, esperienze e incontri. Tante cose cambiano e la musica porta con sé tutte le esperienze della vita di un uomo. E si nutre di tutte queste esperienze». Riccardo Muti è in Italia con la Chicago Symphony Orchestra con cui ha condiviso, nel ruolo di direttore musicale fino a giugno scorso e ora di direttore musicale emerito a vita, «13 anni di simbiosi». E nel presentare le date finali della sua ottava tournée europea «con questa meravigliosa compagine», intreccia percorsi umani e professionali. «Sono stati anni stupendi di grande lavoro, insieme, durante i quali ho cambiato l’orchestra dal punto di vista della sonorità, dell’equilibrio delle varie parti. Oggi, è una compagine di grande virtuosismo, come in passato, ma ha un lirismo che prima non aveva».

Dopo il trionfo di venerdì sera all’Auditorium del Lingotto di Torino, questa sera, sabato 27 gennaio, sarà al Teatro alla Scala, di cui è stato direttore musicale dal 1986 al 2005, con un programma che accosta la fantasia sinfonica Aus Italien di Richard Strauss e la Sinfonia n. 5 in si bem. magg. op. 100 di Sergej Prokof’ev. Serata attesissima, che ha già registrato il tutto esaurito, come quella del 29 all’Opera di Roma, dove il maestro manca da quasi dieci anni. L’evento, in programma al Teatro Costanzi alle ore 20, è offerto dalla Banca del Fucino in occasione del centenario della sua fondazione. Quello della banca, che è mecenate del Teatro dell'Opera fin dal maggio 2020, è l'esempio di come delle realtà privare possano diventare un modello di impegno per il rilancio e la valorizzazione della scena culturale e artistica della Capitale.

La tappa romana si aprirà con Il lago incantato di Ljadov. Segue la suite dal balletto L’uccello di fuoco (L’oiseau de feu) di Stravinskij, eseguito nella seconda versione del 1919. A conclusione del concerto, la fantasia sinfonica in Sol maggiore op. 16 del 1886 Aus Italien (Dall’Italia) di Richard Strauss, opera musicalmente coloratissima, di cui il finale Funiculì Funicolà è il più noto esempio. Tra i diversi programmi presentati nel corso della tournée figurano anche la prima europea di The Triumph of the Octagon, commissionata dalla CSO e dedicata al maestro da Philip Glass, presentata venerdì a Torino, tra scrosci di applausi .

Il suo ritorno a Roma è un evento per la città: lei come lo vive?

«Sono felice. Conservo bellissimi ricordi. All’Opera di Roma abbiamo fatto cose importanti. Un momento particolare che ho nel cuore è il Simon Boccanegra, un’opera con cui ottenemmo, grazie a orchestra e coro, un risultato straordinario. E torno di nuovo a Roma fine marzo con la mia orchestra Cherubini. Al Parco della Musica proporremo la Nona sinfonia che William Schuman compose in seguito a un viaggio nella capitale dopo la guerra. Il musicista americano rimase colpito dalla storia della città e dallo spettacolo delle Fosse Ardeatine e la intitolò Le fosse ardeatine, un ricordo doloroso di quell’eccidio».

Arriva a Roma dopo un tour di concerti in 11 città di sette Paesi, l’ultimo al fianco dell’orchestra di Chicago: che cosa rappresenta per lei questo lungo viaggio?

«Perché ultimo? Forse il primo con il mio nuovo titolo di direttore musicale emerito a vita. È una grande tournée alla fine del mio lungo periodo come direttore musicale e che svolgo con questa nomina che non era mai stata assegnata a nessun direttore.

Un onore particolare. Suoniamo insieme da una vita. Sono stati anni stupendi di grande lavoro. Un tempo si parlava solo degli ottoni fantastici e ineguagliabili. Oggi si parla della meravigliosa compagine. Con me, che sono italiano e vengo da un mondo dove il canto è dominante, il suono ha acquistato una cantabilità mediterranea».

Dedicherà ora più tempo all’Italia?

«In Italia io ho l’Orchestra Cherubini che quest’anno compie 20 anni. Ho formato tanti strumentisti, ne sono passati più di mille, che ora sono seduti in molte orchestre italiane e straniere. Ne vado orgoglioso. Il mio compito è di avviarli alla professione di professore d’orchestra che è ardua, pesante, se fatta con impegno ed etica artistica. Una missione. E insisto sul concetto etico della nostra professione, altrimenti la parola cultura si svuota di significato».

E c’è il lavoro con l’Accademia per direttori d’orchestra: qual è il punto su cui è più esigente?

«Il compito vero di un direttore non è solo quello di guidare l’orchestra, ma forgiare l’espressione musicale e drammatica. I cantanti, quelli seri, si lamentano di non avere più quelle informazioni che avevano in passato dai direttori. Quest’anno l’accademia l’ho tenuta presso la Fondazione Prada. E andremo anche in Giappone. E sono centinaia le domande di giovani musicisti che vogliono imparare come si lavora sull’opera italiana e su Mozart, che io ritengo per molte delle sue opere un compositore in parte anche italiano».

Dirigerà opere nei teatri italiani?

«Qualche opera. In febbraio, a Torino, dirigerò Un ballo in maschera, ho appena finito il Don Giovanni a Palermo. Ma ne faccio pochissime. Perché detesto certe regie che invece di essere un aiuto alla comprensione dell’opera, sono una provocazione contro l’opera».

Toscanini diceva che le braccia di un maestro sono l’estensione della mente: che braccia e che menti vede oggi?

«Quella di Toscanini è una frase molto importante. I grandi direttori del passato si agitavano poco. Oggi sembrano dei clown, usano le bracia più per show che per esigenza artistica. Del resto la nostra è una civiltà di gente che vuole vedere più che sentire. Il direttore dovrebbe essere un ponte tra l’orchestra al pubblico. E il dinamismo funzionale alla musica. Basta guardare a Fritz Reiner o i filmati di Karajan, i loro gesti erano contenuti e intensi. E le braccia non erano pale di un mulino a vento».

Sarà presto alla guida dei Wiener per appuntamenti epocali: in particolare, il 7 maggio, dirigerà la Nona di Beethoven a 200 anni dalla prima esecuzione. Che cosa significa per lei?

«Un onore, proprio a Vienna dove la Nona è nata. Il fatto che i Wiener l’abbiamo chiesto a me, un italiano, è un motivo d’orgoglio. Poi saremo a Salisburgo, a Ferragosto, per i 200 anni della nascita di Bruckner. E per i 200 di Strauss dirigerò con loro il mio settimo concerto di Capodanno a Vienna».

Un musicista italiano: lo ripete sempre con profondo orgoglio. Quale bagaglio le ha regalato l’Italia?

«Io sono un prodotto della scuola italiana: gli studi classici al Vittorio Emanuele di Napoli e poi quelli musicali, nei gloriosi conservatori di Napoli e di Milano. Tutto quello che ho ottenuto, onori e riconoscimenti, sono stati dati a una persona, un musicista che viene dalla scuola italiana. Quando dirigo Beethoven, Bruckner, Strauss non è perché ho frequentato accademie a Vienna. Lo svolgimento della vita mi ha portato ovunque, ma la radici non sono cambiate. E neanche la fierezza di essere italiano».

Lei ha sempre avuto uno sguardo politico, nel senso nobile, sulla situazione musicale italiana. Dopo tanti anni di impegno è scoraggiato o felice di qualche risultato ottenuto?

«C’è molto da fare. L’interesse dei media, e non solo, verso la musica classica o lirica è molto scarso. E invece ci vorrebbe più attenzione anche per formare le generazioni future. I ragazzi di oggi sono migliori, più brillanti. E vanno aiutati perché rappresentano un tesoro del Paese. Qualcosa si è mosso, ma non abbastanza. Abbiamo creato le note, l’opera, gli strumenti, i teatri più belli del mondo, ma dimostriamo di non essere ancora eredi degni del nostro passato. E invece, in un mondo di guerre e di uccisioni bisognerebbe investire sulla cultura per elevare gli spiriti e produrre propositi positivi che possono aiutare la società».

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