@danielapreziosi
La scuola pubblica contribuisce in maniera rilevante a combattere il calo demografico, e non solo perché si mette al servizio delle famiglie con figli. A far crescere il tasso di natalità sono direttamente le insegnanti. Cosa fa una maestra precaria che si trova a lavorare in una scuola dove l’ambiente è ostile? Si fa mettere incinta dal marito, così per qualche mese può starsene a casa, poi l’anno successivo sceglierà un’altra scuola.
E un’insegnante che finalmente ottiene il ruolo ma, trovandosi in fondo alla graduatoria, è costretta per il primo anno ad accettare un posto lontanissimo, con svariate ore di viaggio all’andata e al ritorno (facendo due esempi a caso fra i tanti: Subiaco e Montelibretti)? Festeggia l’assunzione a tempo indeterminato con il concepimento di un bel bambino e tutto è sistemato. E se una giovane professoressa del Sud vuole tornare a casa, invece di continuare a spendere quasi la metà dello stipendio per pagarsi una stanza in subaffitto nella capitale, che può fare? Convincere il fidanzato meridionale a sposarla e a fare un figlio, per chiedere l’assegnazione provvisoria in un istituto della sua città.
Nessuno può biasimare queste ragazze, la maternità è un diritto sacro, tanto più oggi che andiamo incontro a un futuro con pochi giovani e le donne che procreano sono benemerite per l’intera comunità. Le docenti incinte sono solo un sintomo della crisi della scuola italiana. La stabilizzazione dei precari che partirà l’anno prossimo è un primo passo per superare questa crisi. Nel frattempo accogliamo con gioia i figli delle maestre, che almeno un domani ci pagheranno la pensione.
pietro.piovani@ilmessaggero.it