Non c'è amore profano che non sia sacro

di Roberto Gervaso
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Giovedì 30 Agosto 2018, 08:32
La tresca di Oscar e Bosie non era più un mistero. Nella Londra che contava, tutti sapevano tutto di tutti, anche perché Wilde, sempre più invaghito del giacinto, lo esibiva con frivolo compiacimento. Pendeva dalle sue labbra, lo colmava di premure e di doni, alloggiava con lui al Savoy Hôtel e con lui condivideva il letto a due piazze. Diceva, quasi in tono di sfida: «Nella vita mi sono sposato tre volte. La prima con una donna e poi con due uomini (Ross e Douglas). E Bosie: «Wilde mi prodigava ogni sorta di doni e di affetto Quando mangiavamo insieme, si ricordava dei miei piatti preferiti. Se ero malato mi portava al capezzale costosi grappoli di uva moscata e giornali illustrati. Se in campagna dimenticavo le sigarette, e lo pregavo di farmele avere, me ne mandava a profusione Era per me, in tutto e per tutto, ciò che un cuore innamorato può desiderare».

Un giorno la moglie Constance andò in albergo a recapitargli della posta. Oscar la trattò con un misto di sarcasmo e freddezza. E quando lei lo supplicò di tornare all'ovile domestico, lui rispose di non ricordarne il numero civico: da troppo tempo non ne varcava la soglia. La moglie scoppiò in lacrime e lui si rituffò fra le braccia di Bosie.

Ne era ormai lo schiavo, ma sempre più imperioso, irresistibile era l'ascendente esercitato da lui sul volubile patrizio. La liaison diventava sempre più viziosa anche perché ai loro giochi erotici partecipavano spesso quei femminielli, come li chiamano a Napoli, che Alfred reclutava nei quartieri malfamati di Londra, con la prezzolata complicità di loschi ruffiani. Giovani che si prostituivano per una manciata di penny, piegandosi docilmente alle impudiche fantasie di Alfred. Era l'ignobile pedaggio alla sua depravazione e a quella di Bosie, che con tanta perversa sapienza, l'irlandese aveva plasmato a propria immagine e somiglianza.

Wilde ora sentiva che il legame gli sarebbe stato fatale, che un giorno avrebbe dovuto renderne conto a quella società che, dopo averlo vezzeggiato e osannato, vedeva ora in lui il reprobo da inquisire e punire. L'esempio che dava ai giovani, e non soltanto ai giovani, era disgustosamente riprovevole.

In un momento ma fu solo un momento di lucida resipiscenza, Oscar disse a Bosie: «Ci stiamo rovinando reciprocamente la vita. Tu stai rovinando la mia e io non sto rendendo felice la tua. Una separazione irrevocabile, completa è l'unica cosa da fare». Douglas acconsentì, ma tre giorni dopo telegrafò a Wilde invocando la riappacificazione. Oscar, che in fondo, se l'aspettava, si rimangiò il saggio proposito e tutto tornò come prima.

Nell'aprile 1894 a Bosie fu offerto un posto di funzionario all'ambasciata inglese di Costantinopoli. Non accettò né rifiutò e, in attesa di prendere una decisione, andò in vacanza in Grecia. Da Atene scrisse a Wilde, con il quale c'era stata una nuova frattura: «Lontano da te la vita ha perso ogni colore, ogni scopo. A volte mi sento così disperato che mi viene voglia di farla finita per sempre. Se proprio non vuoi vedermi, almeno scrivimi per dirmi che la nostra amicizia è ancora viva, nonostante il distacco crudele imposto dalle circostanze».

Da Atene, Alfred si trasferì a Firenze, e dalla città del Giglio inviò a Oscar lettere appassionate e accorate fino alla disperazione. Il commediografo, finché poté, resisté, poi il sentimento soggiogò il risentimento e in una lettera confidò a Bosie ciò che questi già sapeva: «Mi manchi tanto».

Decisero di rivedersi e si diedero appuntamento a Parigi. Un incontro clandestino, ardente e febbrile: languide proteste d'amore ed estenuanti amplessi. Appena rientrò a Firenze, Douglas si affrettò a scrivere a Wilde, supplicandolo di raggiungerlo sulle rive dell'Arno: «Penso sempre a te, che sei così dolce, così nobile, così tenero con me. Mi rendo conto che la mia vita con te era un tenero sonetto, mentre ora, senza di te, è una litania funebre. Non vedo l'ora che tu sia veramente con me».
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