Svolta 5stelle: in caso di condanna della sindaca ora deciderà Di Maio

Svolta 5stelle: in caso di condanna della sindaca ora deciderà Di Maio
di Lorenzo De Cicco e Stefania Piras
4 Minuti di Lettura
Giovedì 4 Gennaio 2018, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 17:20

«Rispetteremo il codice etico», va dicendo da mesi Di Maio quando gli chiedono cosa sarà della Raggi, se mai condannata. E lo stesso ripetono come un mantra i pentastellati di ogni ordine e grado, compresa ovviamente la diretta interessata, la sindaca di Roma, che confida di uscire a testa alta dal processo in cui è accusata di falso, ma rimane guardinga e misurata nelle dichiarazioni, almeno fino alla sentenza. In chiaro, la parola «dimissioni» non la dice praticamente nessuno. È sempre nella domanda, quasi mai nella risposta dei Cinquestelle. Il punto è: cosa succede se le regole cambiano? Se insomma uno dei dogmi del grillismo d’antan venisse riformato in senso garantista, in linea con l’approccio più “di governo” impresso dal nuovo capo politico, Luigi Di Maio? Succede che il mantra - «rispetteremo il codice etico» - rimane intatto, ma il dogma antico - dimissioni alla prima condanna - no. 

LA RIFORMA
In questa ottica, allora, si può leggere un passaggio inciso nel nuovo codice etico appena varato dai Cinquestelle. Una sequenza di parole che può cambiare totalmente la prospettiva, consegnando ai vertici, quindi allo stesso Di Maio, la facoltà di decidere sul destino di Raggi e di altri rappresentanti M5S in caso di sentenze sfavorevoli. Nel nuovo codice si conferma che «costituisce condotta grave ed incompatibile con la candidatura e il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo», ma in testa a questo ragionamento è scritto che è «impregiudicata la facoltà di giudizio degli organi associativi a ciò deputati». In sostanza, l’ultima parola spetterebbe ai vertici del Movimento, che potrebbero valutare caso per caso la gravità effettiva degli addebiti. Questo dice il nuovo regolamento che mette in fila gli obblighi che i portavoce del M5S devono rispettare. Un documento che rafforza i poteri del capo politico, che riceverà in prima persona le comunicazioni degli eletti su eventuali indagini a carico, compito che prima spettava a Grillo.

PROCEDURA DA CAMBIARE
Dopo il codice dovrebbe essere messo nero su bianco un nuovo regolamento, infatti. Vanno affinate le procedure per informare Di Maio sui portavoce che finiscono sotto inchiesta o condannati, norme che non sono ancora state scritte. Nel codice appena riformato si dice solo che «verranno meglio dettagliate con apposito Regolamento» emanato dal capo politico e sottoposto al comitato di garanzia di cui fa parte anche la deputata ed ex capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi. Del resto, il capo politico tra gli ampi poteri discrezionali conquistati col nuovo statuto ha quello di stilare «regolamenti esecutivi necessari per l’attività dell’associazione». Fare un raffronto col vecchio codice etico sembra impossibile, perché sul blog di Beppe Grillo non c’è, è stato rimosso e sostituito con il nuovo testo pubblicato a fine anno. 

L’EXIT STRATEGY
Certo è che con le nuove regole, ai piani alti del Movimento sono convinti che per Virginia Raggi il passaggio condanna di primo grado-dimissioni non sia per forza di cose un automatismo. In tanti nel M5S, sia a livello nazionale che locale, sono convinti che la bega processuale in cui è incappata la sindaca di Roma nasca da un peccato veniale, della serie: ha sbagliato una firma, e poco più. E che insomma, se così risultasse anche dalle carte di un’eventuale condanna, non varrebbe la pena di staccare la spina alla prima amministrazione a Cinquestelle della Capitale. Ecco perché oggi ai livelli più alti del M5S sono convinti che, anche in caso di sentenza negativa, prima di una decisione, sia importante un passaggio al vertice della piramide, coinvolgendo quindi il capo politico, Di Maio, e il garante, Beppe Grillo. Senza l’obbligo dell’auto-sospensione o di un’eventuale epurazione, in caso di dissidi. D’altronde l’automatismo delle dimissioni è già stato soppresso per gli indagati.

Va detto poi che la scelta della sindaca di andare dritta al processo è stata apprezzata, sia per come è stata motivata pubblicamente - «voglio che sia accertata quanto prima la verità giuridica dei fatti», ha detto Raggi - sia perché spazza dalla campagna elettorale il tema del rinvio a giudizio e di un’eventuale decisione negativa del giudice dell’udienza preliminare. Chissà se anche questo peserà nel verdetto dei vertici in caso di condanna, di sicuro dopo il grande gelo dell’autunno 2016, tra il Campidoglio grillino e i vertici pentastellati sembra tornato il sereno. E anche l’ennesimo rimpasto di giunta - l’assessore Adriano Meloni è in uscita da settimane - è stato rimandato a dopo il voto.
 

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